“Fuenzalida” di Nona Fernández (Gran viá)

Fuenzalida di Nona Fernández è il quarto romanzo (quinto libro se si considera l’opera di non-fiction La dimensione oscura) che arriva in Italia grazie al meraviglioso lavoro di Gran vía che ci ha dato la possibilità di chiudere il trittico delle opere maggiori della scrittrice cilena (affiancandosi a Mapocho La dimensione oscura)

Parlare di Nona Fernández è per me difficilissimo, la amo così profondamente da avere difficoltà a tradurre questo amore in una semplice recensione (che mi apparirà sempre manchevole). Partiamo quindi proprio da Fuenzalida: un romanzo in cui nuovamente la finzione, la storia del proprio paese (il Cile) e il vissuto personale dell’autrice si intrecciano in una narrazione che gioca su più piani e registri, un romanzo-caleidoscopio che riverbera più immagini che finiscono per specchiarsi e sdoppiarsi  fra loro per rappresentare i temi cari alla scrittrice: l’importanza del ricordo e dell’intervento della letteratura, la lotta contro la memoria fallace e il rimosso.

 


Funezalida di Nona Fernández

Fuenzalida è il cognome di un padre scomparso che torna a riproporsi nella vita della protagonista (senza nome) attraversa una vecchia polaroid. Lei, scrittrice di telenovela, si trova a vivere il proprio dramma personale quando il figlio, di soli otto anni, entra in uno stato di coma dal quale sembra non volersi risvegliare. L’attesa in ospedale la costringe a soffermarsi su una domanda senza risposta del figlio: chi fosse suo nonno. Ed ecco che la narrazione inizia a sovrapporre piani diversi, slabbrando i confini tra memoria storica, memoria personale e racconto.

Bella domanda. Ho vissuto per anni con Fuenzalida nascosto da qualche parte e soltato ora mi viene in mente di riesumarlo. Una figlia che cerca suo padre, regolamento di conti dal passato. […] La mia memoria era come un foglio bianco, come una pellicola fotografica esposta alla luce, non restituiva nessuna immagine. In realtà non restituiva niente di niente, così non ho risposto niente. Non c’era un antefatto, non c’era una storia. Per una scrittrice di telenovelas non c’è niente di più frustrante del non avere storie da raccontare.

Da questo interrogativo nella narrazione fluiscono i materiali provenienti dalla finzione, dal vissuto personale trasfigurato e dai documenti. Il romanzo si inserisce perfettamente tra Mapocho (con cui condivide il tema della figura paterna) e La dimensione oscura (in cui la ricerca documentaristica è rivolta a far luce sulla storia politica del proprio paese). Qui il contrasto tra realtà e finzione viene reso ancora più esplicito: se il mondo della telenovela permette di razionalizzare e controllare la vita, conoscendo le regole sottese e riuscendo a scoprire ogni filo di quella fitta rete che collega tutti i personaggi, nella realtà la rete si sfilaccia, i legami diventano oscuri, il mondo si tinge di chiaroscuri in cui la logica e i meccanismi sono preclusi al singolo.

 


 

Una narrazione stratificata: tra memoria, finzione e materiali aggiuntivi

La storia di Fuenzalida così come viene ricostruita si allaccia alla storia di un paese, così come il vissuto della stessa scrittrice si confonde tra le righe della narrazione. Come in gran parte delle sue narrazioni gli elementi pop vanno a incontrarsi e scontrarsi con la storia politica del Cile (basti pensare a Space invaders e a La dimensione oscura). È un modo per giocare con la storia e attraverso la metafora pop appropriarsene, unendo la cultura spazzatura con una storia che rischia di finire nella spazzatura, cioè dimenticata e quindi rimossa.

Come si può notare la narrazione è estremamente stratificata, la memoria si sovrappone alla finzione e nel tentativo di fare ordine si inserisce il vero, che tra le pagine prende il nome di materiali aggiuntivi. Tutto quello che qui viene raccontato è stato ispirato dal reale, dalla storia del paese e dal vissuto personale, così perfettamente intrecciati da rendere invisibili i confini. L’assenza del padre nella vita della protagonista qui viene affrontato per superare un trauma personale, ma allo stesso tempo si allarga a rappresentanza dell’assenza di padri, di figure guida, del popolo cileno. La generazione della scrittrice è una generazione orfana. Il rapporto padri e figli diventa stringente nell’ottica politica del proprio paese ed ecco che

Anni dopo ho avuto alcune vaghe spiegazioni e così sono venuta a conoscenza di un legame famigliare che ignoravo e dei motivi di quella strategia di occultamento e segretezza in cui avevo vissuto e continuo a vivere.

La vita del singolo finisce per essere una sorta di monade che racchiude in sé l’intero universo storico di un paese. La stessa Fernandez durante la presentazione spiega come da bambina tutto sembrasse offuscato da una patina di incomprensibilità, che con la democrazia si sarebbe potuto far chiarezza, ma così non è stato. Ecco allora il compito della letteratura, intervenire laddove la storia rimane incompleta, laddove c’è:

[…] un problema di linguaggio. Le parole che usa mi sembrano strane. Provengono tutte da quella macchia nera, fanno parte di quel codice incomprensibile. Ne resto irrimediabilmente esclusa.

 


 

La memoria ingannatrice e il compito dello scrittore

Nulla è lasciato al caso, le immagini che la scrittrice dipinge hanno una potenza evocativa straordinaria e rivelatrice di significati altri: come lo stato comatoso del figlio della protagonista che appare sempre più lo stato in cui saranno condannate le future generazioni se non verrà ripulita quella “macchia nera”. Se i materiali aggiuntivi non bastano allora deve intervenire l’immaginazione, che diventa strumento fondamentale, umanissimo, necessario per combattere la memoria. Quest’ultima, mai innocente mai pura, ha da parte sua l’enorme potere della suggestione e di poter delineare il destino politico del singolo come di un intero popolo:

Non lasciarti ingannare, Genoveva, la memoria è crudele e imbrogliona, rende tutto più bello, inganna. È la vera cattiva di ogni storia. Non ha etica, è una bestiaccia che fa e disfa senza logica né morale.

Come perniciosa è la memoria di un paese, di un popolo che sembra dimentico, così lo è quella di un bambino in coma, che non può comprendere il proprio presente senza conoscere il proprio passato. Come il figlio che chiede alla madre del nonno, ecco allora la responsabilità della madre a dargli una risposta e così fa la protagonista; laddove il rimosso cancella deve intervenire l’immaginazione. Su questo punto stringente la Fernández sembra creare un ponte con una delle mente più brillanti del nostro paese, rivelando come la sua volontà travalichi i confini della storia del singolo paese, ma abbracci l’umanità intera: Pier Paolo Pasolini aveva scritto il 14 novembre 1974

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.

 L’immaginazione è ciò che ci resta per preservarci dalla macchia oscura che ci condannerebbe all’oblio. Di fronte agli eventi in corso, la lettura dei libri di Nona Fernández è un vero e proprio faro che illumina sulla storia di un popolo e che insegna, a tutti, che

[…] Fare una scelta umanitaria sembra implicare anche una scelta politica.

 C’è un leitmotiv in tutto il libro che sembra proprio spiegare il senso della finzione letteraria quando ingaggia battaglia con la memoria e con la storia:

Un combattimento perfetto non è altro che un gioco ma reso sul serio.

 


Intervista a Nona Fernández:

Come avevo scritto ho avuto l’enorme fortuna di poter non solo incontrare, ma anche intervistare Nona Fernández. Il tempo era poco e tante, forse troppe, le domande che avevo in mente. Solo due domande sono riuscita a farle, però (e spero davvero) di poterla rincontrare, essere meno in ritardo e prenderci tutto il tempo per parlare del Cile, della sua letteratura, della sua vita da artista e intellettuale impegnata. Questo è solo un breve assaggio alla meravigliosa scrittrice e donna che è Nona Fernández. Io, dal canto mio, questo momento non me lo dimenticherò mai e ringrazio ancora Gran vía per avermene dato la possibilità.

Nei tuoi scritti uno dei temi centrali è la memoria che in Fuenzalida definisci “imbrogliona, rende tutto più bello, inganna. È la via cattiva di ogni storia, non ha etica”, se quindi questo vale per il singolo che conseguenze ha per la storia di un intero paese?

Il terapeuta indaga su quello che abbiamo fatto, su chi eravamo di bambini e così un paese è fatto di ciò che la società è stata, su ciò che è successo. I pezzi di questo rompicapo ci aiuta a capire chi siamo sia come persone sia come società e bisogna anche ricordarsi che i ricordi sono molto personali quindi non è possibile che ci sia una memoria personale o una storia ufficiale e quindi la memoria è qualcosa di folle, arbitrario, cambia e quindi se tutti quanti uniamo i pezzi, ognuno unisce un proprio ricordo, è possibile ricostruire una storia collettiva che comunque sarà sempre discutibile, mai ufficiale o oggettiva.

Nei tuoi romanzi compare spesso l’immagine di un corpo unico che sembra richiamare un’idea di corresponsabilità. È diventato evidente qui con la bellissima frase: “ogni scelta umanitaria è una scelta politica”. È come se ogni scelta che il singolo prende, può avere una ricaduta sulla politica di un paese. Perciò ti volevo chiedere: in questi tempi in cui invece l’individualismo sempre essere imperante e unica parola ordine, che compito può avere o ha la letteratura?

Ho sempre paura ad affidare una responsabilità alla creazione ciò che potrebbe succedere, perché può essere una responsabilità pesante e soffocante. Io credo però che la prima responsabilità di uno scrittore è scrivere bene e, in secondo luogo, oltre a cercare di scrivere la miglior cosa possibile, è scrivere guardando al luogo che si abita, alla società che si abita e diventare un ponte tra la società e la storia, un ponte tra il contesto e il lettore.

Quindi la letteratura ha questo grande dono: sussurrarci all’orecchio. Se un libro ci piace rimane dentro di noi, ci resta dentro e se restandoci dentro ci permette di vedere qualcosa che succede nella società, qualcosa che non avevamo visto, può trasformarsi in uno strumento positivo per la collettività. Sì, penso che questa sia una responsabilità della letteratura. Ho sempre paura a dirlo, perché esiste una letteratura che è molto pesante, proprio perché molto discorsiva in questo senso, penso che la letteratura non debba mai smettere di essere letteratura.

Credo anche che la letteratura debba essere un atto rivoluzionario, quindi che debba distruggere delle cose, debba buttare giù dei muri, che ci possa muovere e questo è la letteratura che mi interessa e di cui mi voglio occupare. Una letteratura che sia sì intrattenimento, ma che non sia l’unico punto importante. Un libro deve essere un’esperienza dal quale se ne esce fuori trasformati.

 


 

Dove acquistarlo (affiliazione Amazon): Fuenzalida.

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Post su Space invaders.

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