“Il posto dove muoiono gli uccelli” di T. Downey [Recensione]

#Recensione

Il posto dove muoiono gli uccelli di Tomás Downey (Gran vía)

 

Editore: Gran vía

Traduzione: Olga Alessandra Barbato

Anno: ottobre 2019

Pagine: 114 pp. (brossura)

Prezzo: 13,00 €

 


 

Tomás Downey, giovanissimo scrittore argentino (1984), dopo aver ricevuto una grandissima accoglienza da parte della critica e del pubblico con il suo esordio Acá tiempo ed otra cosa, finalmente giunge qui in Italia con la sua seconda raccolta di racconti: Il posto dove muoiono gli uccelli.

Dieci racconti, brevi e brevissimi, la lunghezza giusta per un respiro, inspirato, trattenuto e, solo una volta letta l’ultima riga, rilasciato. Sono tremendamente elusivi, accennano, tratteggiano, ma si divincolano, scappano via proprio quando sei sul punto di catturarne il significato, che sarà più chiaro (almeno così è stato per me) solo una volta terminato il libro. Perché la raccolta è un eclettico, cangiante arazzo che ritrae storie sinistre di personaggi crudeli o vittime che, contro ogni confortante prospettiva etica, morale, logica, razionale, terrena, sembrano non avere  più alcuna speranza.

Racconto dopo racconto, storia dopo storia, si rimane stregati dalla forma: fluida e matura, capace ed agile che nel dare voce a personaggi sempre diversi, riesce a mettere in scena un qualcosa di inaspettato o di bizzarro, anche sovrannaturale, ma sempre angosciante, capace di rovesciare la prospettiva del personaggio o le aspettative del lettore stesso. Storie, apparentemente sconnesse, di nipoti e nonni, di madri e figli, di mogli e mariti, di sorelle e padri o sorelle e sorelle; storie che hanno sempre come sfondo, o quasi sempre, la famiglia o forse, ancora meglio, i legami umani. Non c’è nulla di consolatorio, non c’è nulla di nostalgico, ciò che si avverte è un costante stato di allerta verso qualcosa di sinistro che si sta per abbattere o già si è abbattuto.


Tra la tematica del castigo e e del new-weird

In Sorelle, tre bambine compiono un macabro rituale che sconvolgerà i loro equilibri familiari; in Gli uomini vanno in guerra una donna è costretta ogni giorno ad ascoltare la notizia che suo marito è morto in guerra; in La pelle sensibile (tra i miei preferiti) una ragazza convive con il fantasma del suo primo amore morto di cancro. C’è un senso di predestinazione, un castigo inflitto o subìto, la cui ragione non è mai spiegata. Non vi è un qualche dio, non vi è una forma di giustizia superiore, il castigo si abbatte in forme diverse e senza preavviso, non seguendo logiche o le cui regole sono sconosciute, accade o viene auto inflitto.

La sua manifestazione porta a far entrare in scena alle volte il sovrannaturale, più propriamente quello che in inglese verrebbe detto weird, ossia lo strano inquietante. Downey sembra affiancarsi al genere new-weird, mettendo in scena creature, entità che si muovono nel racconto però secondo le regole della verosimiglianza e della coerenza o comportamenti bizzarri, inquietanti, ma sopratutto inaspettati.

Come ho già detto non vi è nulla di consolatorio, solo un respiro trattenuto e un’angoscia che cala sul petto. Non c’è spiegazione e non c’è cura, rimangono solo storie tremendamente evocative che una volta voltata l’ultima pagina, torneranno a galla. Sono certa che almeno uno di questi racconti qualcosa smuoverà.

 


Downey sembra mettersi nel variegato gruppo di giovani scrittori argentini, come Federico Falco con Silvi e la notte oscura o Samanta Schweblin con Kentuki. Scrittori diversissimi fra di loro, ma che trovano nella forma del racconto un modo per gettare un’ombra di inquietudine sull’attualità, rappresentazioni quanto mai allarmanti sulla direzione che il mondo sembra aver deciso di percorrere.

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